
La pasta, pilastro della cucina italiana, ha trovato un posto speciale anche sul grande schermo, diventando un potente simbolo culturale sia in Italia che negli Stati Uniti.
Questo alimento, apparentemente semplice, ha assunto significati profondi nel raccontare storie, evocare emozioni e rappresentare identità culturali.
In Italia, la pasta nel cinema è spesso legata alla tradizione, alla famiglia e terra d’origine. Scene di pranzi domenicali con enormi piatti di pasta fumante sono diventate iconiche, rappresentando il calore e l’unità familiare. Scrivo quest’articolo in un giorno particolare, e cioè quello di Ferragosto.
Allora, come un déjà-vu, mi viene in mente un film come “Pranzo di Ferragosto” di Gianni Di Gregorio (2008), uno dei tanti dove si utilizza la preparazione e il consumo della pasta come metafora della vita italiana, delle relazioni interpersonali e del passaggio del tempo.
In questo piccolo quadro neorealista ambientato a Roma, un uomo di mezza età di nome Gianni accetta di badare alla madre dell’amministratore di condominio, Alfonso, il giorno di Ferragosto. Vere protagoniste della pellicola sono delle anziane donne, una delle quali, Maria – la zia dell’amministratore, donna del sud – è esperta nel preparare la pasta al forno, a base probabilmente di penne o rigatoni.
Con la mozzarella, si badi bene, non certo la besciamella come sarebbe stato plausibile un po’ più a nord. Alla preparazione è dedicata una scena specifica, in cui l’anziana signora spiega al padrone di casa ogni segreto dei condimenti, e come fare per far sì che la “crosticina” venga perfetta e non si bruci. È il racconto di un’esperienza di vita e di genere che trova la propria sublimazione nelle giornate di festa, proprio come il Ferragosto, in cui i sapori di una volta e la cucina tradizionale possono allietare un’allegra tavolata riunitasi per l’occasione.
E dove la preparazione della pasta diventa un atto di cura e di connessione intergenerazionale.
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