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Pasta biologica: luci e ombre della filiera

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Il recente studio Ismea analizza attori e logiche di mercato nel processo produttivo della pasta biologica

Oggi, in Italia vengono coltivati 2 milioni di ettari di cereali biologici: di questi, il 16% circa (330.284 ettari) sono destinati ai cereali, di cui il 43% (141.129 ettari) al grano duro. È, come noto, nel sud Italia che si trova concentrata la maggior parte della produzione cerealicola bio (79%): Sicilia, Puglia e Basilicata le regioni trainanti. Tutto sommato, quest’ultimo dato ricalca quanto visto nelle analisi del frumento duro convenzionale, il quale vede il grosso della produzione nel Mezzogiorno. Comunque, i sopracitati dati sulle produzioni cerealicole bio mostrano chiaramente come la pasta riscontri un interesse costante e progressivo nel mercato nazionale e internazionale.

Al tempo stesso, l’Italia importa oltre 29.500 tonnellate di pasta biologica: un dato assai significativo se si considera che il grano duro biologico è il cereale più coltivato nel Paese e la seconda coltura certificata per estensione dopo l’olivo da olio. Questo perché la produzione italiana di pasta biologica non è in grado di coprire la domanda di mercato.

Proprio sull’argomento, il recente studio Ismea ha rilevato che negli ultimi due anni c’è stata una contrazione delle vendite di pasta biologica: infatti durante la pandemia la pasta convenzionale ha segnato un +8,6% nei fatturati, mentre le produzioni di pasta biologica hanno riscontrato un -0,4%. Non è così per quel che riguarda gli altri prodotti bio. Nel report recentemente pubblicato emerge poi che la pasta biologica viene venduta principalmente in Gdo, dove la percentuale di vendita è dell’83%. Di contro, nei negozi specializzati si annota un’importante domanda di grani antichi.

Volendo poi analizzare la supply chain della pasta bio, si nota che il costo della materia prima incide maggiormente nella produzione rispetto alla pasta convenzionale. E nel 2020 il prezzo del grano duro bio è stato maggiore del 40% rispetto a quello convenzionale.

Lo studio Ismea si basa su un’indagine fatta tra il 2019 e il 2020 a 28 aziende biologiche rappresentative della realtà italiana. Alle aziende è stato fornito un questionario quali-quantitativo dettagliato su costi-ricavi nelle diverse fasi di filiera con l’obiettivo di ricostruire la distribuzione del valore fra gli attori coinvolti. Nei risultati si nota una notevole eterogeneità, per esempio a maggiori costi unitari per ettaro delle operazioni agricole e/o della semente, corrispondono rese produttive molto diverse e prezzi differenti di cessione dell’output.

A cura di Ismea

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