
Nella regione Marche massivamente si coltiva il frumento. Tenero, da sempre per la produzione di pane, ma anche duro – da cinquant’anni – per la semola della pasta. Quest’ultimo si coltiva grazie a un agronomo-genetista marchigiano (nato a Castelferretti nel 1926) che nel secondo dopoguerra fu incaricato nell’ambito dell’Enea di migliorare geneticamente quella che allora era una coltura praticata solo nel sud Italia: aveva un fusto molto alto, era poco produttiva e spesso arrivava a maturazione in forma striminzita.
Le prove e le sperimentazioni degli anni ’60 erano condotte in Puglia, Sicilia, Lazio, Abruzzo, Toscana. Nelle Marche i campi sperimentali erano nell’azienda di famiglia del genetista, a Camerata Picena. Diversi i genotipi incrociati (Castelfusano, Catelporziano, Cappelli…) fino a ottenere la varietà iscritta al Registro varietale nel 1974 con il nome di “Creso” che fu protagonista della “rivoluzione verde”.
In cinquant’anni il duro marchigiano ha surclassato il tenero e così la Regione è il terzo areale tipico per il frumento a grano duro, mentre le caratteristiche della granella prodotta sono un riferimento qualitativo per l’intera produzione nazionale.
Nello scorso ottobre – al Cassero di Camerata Picena – agricoltori e assessorato regionale hanno avviato il procedimento per il riconoscimento del Distretto del Cibo detto “Gran_de’Marca – frumenti marchigiani”.
In occasione del cinquantenario della principale coltura regionale è doveroso portare a conoscenza dei consumatori che un quarto della pasta che ogni giorno si porta in tavola può essere fatta con frumento marchigiano, che la qualità marchigiana è sinonimo di sicurezza alimentare libera da agenti inquinanti.
Abbonati alla rivista per leggere l’articolo integrale
Sfoglia la rivistaAbbonati alla rivista